Fare Impresa

up-libro

Per avviare un’impresa bisogna avere un’idea veramente buona. Questo il presupposto che approfondisce Fare impresa è un lavoro [creativo], che propone 8 mosse grazie alle quali è possibile valutare se un’idea può avere la forza di diventare un’occasione di successo professionale. 8 mosse precedute dalla descrizione dello scenario su cui le imprese si muovono oggi.
Non un manuale, piuttosto un vademecum con poche mosse, ben chiare, che permettono di iniziare un percorso di lavoro gratificante sotto l’aspetto economico e personale, da cui poi proseguire senza sosta.

Dalla prefazione
Fare impresa è un lavoro è un viaggio veloce che mi sono trovato ad intraprendere ogni volta che ho incontrato qualcuno che parlava di impresa, di voglia di fare qualcosa “in proprio”, che lo abbia detto direttamente a me o che io lo abbia letto sui media. Ogni volta le considerazioni che si generavano si aggiungevano a quelle precedenti facendomi convincere che alcuni aspetti di cui si parlava avevano un backstage che andava svelato per poter far comprendere meglio i temi trattati e quindi fornire uno strumento di valutazione maggiore a chi programmava la nascita di una propria impresa.
In più, istintivamente mi accorgevo che molti degli aspetti trattati circa le imprese li ritrovavo sia in molti clienti di cui mi ero occupato, sia nella mia esperienza personale.
Questo succede tuttora e il panorama di cui ho delineato i contorni si sono definiti sempre più a tal punto da fornirmi ormai un metodo grazie al quale riesco a decidere quando qualcosa è conveniente o come provare ad investire su progetti, su fasi di lavoro o incarichi affidati da clienti. [...]
ESTRATTI
Avere un’idea

La creatività può fare profitto?

Creatività è una delle parole più generiche che si possano immaginare. Se si fa un test veloce tra gli amici durante una serata chiedendo qua e là cosa può voler dire, si colleziona una quantità di risposte tutte estremamente differenti, risultando anche esse a essere creative.
Creatività è tante cose: avere un’idea, ipotizzare uno scenario, interpretare la realtà, costruire delle soluzioni inedite, percepire visioni inconsuete.
Di per sé già il pensare è un atto creativo. Peggio ancora se si mutua dai significati biblici per cui creare è l’atto con cui si genera qualcosa che prima non c’era proprio. Dire “creatività” quindi, il più delle volte, significa appellarsi a una innata capacità di cui qualcuno è pervaso nel trovare delle soluzioni inedite e dal sapore sorprendente.
L’essere creativo è una peculiarità dell’artista così come del professionista, tutti e due creano linguaggi, segni, gesti, parole, eppure l’obiettivo di uno è così diverso dall’altro che viene da chiedersi come fanno a essere tutti e due accomunati dalla stessa parola.
Un artista quando realizza un’opera d’arte fa uscire fuori se stesso, trova un linguaggio talvolta addirittura incomprensibile, quasi percepibile solo dal proprio intimo. Egli esibisce le sue opere a un selezionato pubblico o a una platea più ampia quasi senza differenza, semplicemente perché all’artista non importa cosa pensa un individuo di fronte alla sua opera
Il suo unico obiettivo è quello di esprimersi, spesso con uno sforzo sovrumano e a volte anche ottenendo l’insoddisfazione di non esserci riuscito. È celebre quanto si racconta circa la rabbia di Michelangelo che, terminata la scultura del Mosè, esclamò la frase «Perché non parli?» provocata dall’insoddisfazione di non esser riuscito a rappresentare a pieno il realismo che sentiva di voler esprimere.
Si pensi anche alla Gioconda: per qualcuno ride, per altri è triste, altri ancora ne percepiscono eros e sensualità, ma nessuno sa cosa Leonardo ha voluto esprimere. Ma poco importa, la Gioconda genera comunque qualcosa in chi la vede, la osserva, la studia.
E il pubblico di fronte alla creatività dell’artista come si pone? Pienamente attento o immediatamente disinteressato, non esistono molte vie di mezzo. L’unica cosa certa è che sia la prima che la seconda disposizione sono frutto di una “scelta” provocata nello spettatore dalla visione dell’opera d’arte. Grazie a questa scelta egli risulterà attento o disinteressato.
Se alla figura dell’artista si sostituisce quella del professionista, cambia tutto. La creatività per un professionista è ben lungi dall’essere l’espressione del proprio io, della propria tempesta o quiete di sentimenti.
Piuttosto è qualcosa che deve considerare le indicazioni di qualcuno (un brand) in un incontro dove tutti dicono tutto quasi senza regola (un brain storming), definire un obiettivo (il brief), individuare a chi rivolgersi e farlo solo verso quelle determinate persone o realtà (il target), creare un linguaggio che da un lato sia nuovo e dall’altro sia comprensibile, trovare il modo di colpire in poco tempo tutti alla stessa maniera, e così via.
In pratica il professionista di se stesso nella creatività non mette nulla, semmai si astrae dal proprio io e diventa il target che deve coinvolgere.
La creatività qui è vista come la capacità di capire gli altri e parlare loro quando meno se lo aspettano, facendosi capire chiaramente. Qui soprattutto il professionista deve ottenere un risultato assoluto: fare in modo che tutti capiscano la stessa cosa, senza tergiversare, senza che il pubblico si applichi più di tanto in termini di tempo e sforzo intellettivo e senza coinvolgere i sentimenti, semmai le sensazioni.
In sostanza il target per un professionista della creatività non è fatto di singoli individui liberi di percepire quello che vogliono dal messaggio, ma è costituito da un solo interlocutore che deve capire un solo significato. La particolarità è che quell’unico interlocutore è composto da centinaia, migliaia di individui.
In questo caso il pubblico, a differenza del caso dell’opera d’arte, come è? Distratto, veloce, sovrappensiero, critico, sospettoso, una sorta di disinteressato abitante di una comunità generica. Eppure è a lui che deve parlare il creativo-comunicatore che arriverà al successo quando riuscirà a ottenere l’attenzione del pubblico per qualche istante e generare un ricordo, uguale per tutti.
Da una parte quindi la creatività è l’espressione del proprio io, dall’altra quella dell’io degli altri. Ma sempre creatività è.
È evidente che il professionista-creativo è identificabile proprio come chi lavora per creare messaggi, linguaggi e tutti i dati utili per generare quel ricordo: pubblicitari, uomini di comunicazione, communication specialist, esperti di marketing applicato. Ma non va fatto l’errore di pensare che la creatività sia un concetto assimilabile solo a questi professionisti. Un imprenditore, ad esempio, può essere considerato un creativo? Verrebbe da rispondere che sì, lo è ma solo nel caso in cui svolge un’attività, appunto, creativa.
Ma ormai non è più così. A tutti gli imprenditori oggi è richiesta una buona dose di attività creativa quantomeno nella ricerca di nuovi spunti di mercato, che siano aggiornati e che possano procurare del profitto attingendo a quanto realmente accade sul mercato.
Non è forse un creativo quell’imprenditore che intuisce, sviluppa e investe sull’innovazione della propria impresa? E non è creativo quello che affina un’idea a tal punto da renderla un’occasione imprenditoriale? Svilupperò comunque in seguito questo aspetto.
Generare profitto da un’attività creativa, dunque, è uno spunto di ammirazione verso chi abbia la capacità di trasformare una professione consueta in qualcosa che prima non c’era, in un “nuovo modo per” fino addirittura a poter essere un pioniere di una nuova leva di mercato: qualcuno che dia inizio a un modus innovativo e sappia costruire grazie a esso il prodotto o il servizio adeguato.